Koselig #188 - Let me count the ways
Ma perché usare un'intelligenza artificiale quando hai tanti umani intorno a te? Te lo mostro io, se vuoi.
Un errore facile da fare con le intelligenze artificiali che abbiamo a disposizione è pensarle come sostitute di attività umane piacevoli e che ci rendono felici: scrivere o disegnare, chiacchierare con gli amici, prendersi cura di sé, organizzare un viaggio.
Quello che sono, invece, è il contrario: sono soluzioni a problemi che ci rovinano le giornate e ci complicano la vita, problemi che non abbiamo ancora risolto, perché, con buona pace dei teorici del (tecno)soluzionismo, usare la tecnologia per risolvere problemi che abbiamo, come individui, come specie e come ecosistema non è una brutta cosa (e ci si sente un po’ stupidi a dirlo). Pensare di usare solo la tecnologia o inventare problemi per risolverli con la tecnologia invece sì, è una brutta cosa (ma far coincidere i due insiemi è ancora peggio).
Mettiamo da parte per un attimo la scrittura, non senza aver ricordato che per molte persone, anche colte, scrivere è un incubo (sono quelle che “ti chiamo e facciamo prima” e/o “scusa se ti mando un vocale”).
Prova a pensare all’uso, sempre più frequente, di chiacchierare con un modello linguistico dei propri disagi, una via di mezzo tra un prete, un parente anziano, una terapeuta o un’amica1. In ordine di apparizione, perché tra pregare, chiedere consiglio, chiedere una cura per i dolori psichici e sfogarsi c’è anche un filo temporale, in diacronia. In un mondo senza psicologi con chi si parlava? Con il confessore. Con un parente anziano. Solo da pochi anni, almeno a giudicare dallo specchio sociale dei romanzi, con il proprio partner o con un’amica2. Cinquant’anni fa, ma per molti anziani ancora oggi, chiedere aiuto a un terapeuta era una forma di debolezza e un indice di corruzione della società paragonabile a parlare dei tuoi problemi con un AI oggi. Eppure secondo Marc Zao Sanders, che ha studiato gli usi concreti prevalenti delle AI, nel 2025 è diventato il primo uso quotidiano (nel 2024 era il secondo).
Chi si chiede perché sfogarsi con un software probabilmente non si è mai svegliato alle 3 di mattina senza speranze di arrivare all’alba sano di mente. Non ha mai avuto una crisi ipocondriaca il 14 agosto. Non ha mai visto amici e amiche alzare gli occhi al cielo all’ennesima reprise di un male d’amore o di un’idea fulminante solo per chi l’ha avuta. Non ha mai inseguito la mamma per tutta la casa, per mesi, per spiegarle cosa voleva scrivere nella tesi (ciao mamma scusa in ritardo). Non si è mai sentita respinta da un medico che guarda lastre e analisi senza mai guardarti negli occhi, negando lo stesso corpo che in teoria dovrebbe curare.
Chi si spaventa perché un amico o un compagno o un parente preferisce parlare con un’AI invece che con lei/lui è probabilmente il tipo di persona che non capisce cosa vuol dire essere in difficoltà nell’aprirsi con altre persone, un tipo umano che a seconda dei casi è introverso (un tempo si diceva “chiuso”), riservato o terrorizzato all’idea di disturbare (chi segue VeryBritishProblems capisce al volo).
Chi pensa che l’abitudine di conversare con un software sia un segnale di declino sociale e umano, infine, non sa o non vuole sapere quante persone siano sole al mondo o si sentano sole, perché nessuno le capisce o perché non c’è più nessuno. Lo esprime benissimo una conversazione tra Emanuela Fraire e Rossana Rossanda, in La perdita, a cura di Lea Melandri:
Tu affermi spesso - con una certa amarezza - che oggi trovi pochi compagni di strada in questo tuo modo di vedere le cose.
Non trovo quasi nessuno.
La perdita di cui parlano è la morte eppure a molti di noi la possibilità di conversare con persone scomparse fa l’effetto di una puntata di Black Mirror, come se non esistesse una lunghissima storia di tentativi disperati (e truffe) per poter parlare con presunti al di là e con mondi paralleli e quindi un bisogno antico e profonda, certo non creato dalla tecnologia.
Io ho una parola sola per sintetizzare tutte queste posizioni, la parola è abilismo. Anzi, due: la seconda è privilegio. Tutti desideriamo avere sempre un umano al nostro fianco per confrontarci e sfogarci ed essere aiutati. E chi non ce l’ha? O non sempre? O non per tutto? O non ha i soldi per un professionista? E chi trova sollievo nel non essere giudicato? Nel parlare scrivendo? Tante tante domande, ma spero per qualcuno uno spiraglio per capire se c’’è qualcosa di buono, per sé. Perché se così tante persone trovano sollievo nel parlare con un’AI non è che trovarle stupide o sfigate le aiuti molto. E questo vale per tutto il resto, per qualsiasi attività un umano desideri delegare in tutto o in parte a un’AI. Nei prossimi mesi vi racconterò come la sto usando io.
Un post e un grazie
Prima di tutto, due grazie: uno a Giorgia che mi ha regalato un abbonamento a Zine di Matt Klein ma Substack non mi dice quale Giorgia sei, palesati! E grazie a Francesco che mi ha intimato di riprendere e finire Disclaimer, lo farò!
Alberto Danese propone una vista di utilizzi AI radicalmente diversa, basata sull’Anthropic Economic Index
1. oltre il 37% dell’uso di Claude è legato all’ambito matematico/informatico
2. nel 57% dei casi l’AI è stata utilizzata per collaborare con un’attività umana, mentre nel restante 43% c’è stata una delega di un compito, col fine di automatizzarlo nel suo insieme.
Libri letti e in corso
Quello che so di te, di Nadia Terranova. Il genogramma come trampolino per un romanzo, a volte si vola, a volte si cade.
L’anniversario, di Andrea Bajani. Se nella tua testa leggi L’avversario hai ragione.
L’anno della locusta, di Terry Hayes tradotto da Annamaria Biavasco Valentina Guani, Annamaria Raffo e Roberta Scarabelli (94%)
Kairos di di Jenny Erpenbeck tradotto da Ada Vigliani (25%)
Serie tv
Criminal Minds (11), Chicago Med (10), Departure (2), Disclaimer (1)
Serie un po’ abbandonate
M, il figlio del secolo (1), Silicon Valley (1), Star Wars Andor (1), High Potential (1), Black Mirror (7)
Serie finite
The Pitt (1), una calata all’inferno in quindici puntate, poi si esce. Prezioso.
The Residence (1), adorabile, Crazy Eyes detective bird watcher bravissima, tutti bravissimi. Poirot incontra Downton Abbey.
Departure (1), divertente, un po’ telefonata, non guarderò mai più l’intrattenimento a bordo con gli stessi occhi
Adolescence (miniserie), in cui si vede chiaramente che siamo tutti in prigione
Severance (2), mi consiglia ChatGPT: Crea un “suono di soglia”: una playlist che segna il passaggio dal dentro al fuori, dal lavoro al riposo.
Zero Day (miniserie), brutta, ma brutta forte, unica cosa che rimane: ma quindi l’11 settembre se lo sono davvero fatto da soli e stanno per dircerlo?
Reacher (3), un po’ noiosetta, ultima puntata dalle parti di Bud Spencer
22/11/1963, giusto finirla in questi giorni, per ricordare che la storia non è lineare
Paradise, il Don’t look up che mi meritavo.
Prime Target, una bellissima idea sprecata.
Blacklist. Sono in lutto. Il mondo senza Raymond Reddington e i suoi accoliti è molto meno interessante.
Silo. Una lentissima esplorazione del conflitto tra informazioni e bulloni, con un’eroina di cui non puoi più fare a meno.
Bulletproof, amata molto, nonostante tutto.
Killing Eve (4), quasi solo per fan. Consiglio la prima stagione e basta.
The Night Agent (2), un po’ confusetta.
The Agency (1), mi manca Malotru.
The recruit (2), cialtronissima e per questo impeccabile.
Incontri pubblici
Presentazioni di In principio era DeepSeek / interventi a convegni
Presentazione online a cura della Fondazione Pensiero Solido
Venerdì 9 maggio, Reggio Emilia, biblioteca, seguono dettagli
Venerdì 30 maggio, Bicocca, seguono dettagli
Venerdì 19 giugno, Torino, seguono dettagli
Agenda corsi
Story Hacking, il mio progetto di formazione & allenamento a bassissimo costo. Il prossimo incontro è il 29 marzo alle 17:30, parliamo di magia nera per fare le bolle, non di sapone.
Pronto Soccorso AI, 35 euro, un videocorso per avvicinarsi alle intelligenze artificiali.
Ricordo, soprattutto alle nuove arrivate (grazie!) che i consigli di questa newsletter non sono in vendita, però ogni tanto i libri che leggo mi vengono regalati dall'editore e su molti link c'è un codice di affiliazione, cioè se clicchi e compri io prendo una piccolissima percentuale (e a volte tu uno sconto).
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Buon tutto. Grazie di esserci. Mafe
qui si pratica il femminile sovraesteso e anche una discreta anarchia linguistica
In Oltre il senso del luogo Joshua Meyrowitz racconta come la tv accelerò i movimenti femministi mostrando alle donne che altre donne avevano problemi in casa simili ai loro, in una società, quella degli anni ‘50 e ‘60, in cui parlare dei propri problemi in casa era quasi un tabù.
Ironicamente detto, se l’AI fosse come un terapeuta umano dovrebbe essere laconica come un eremita e annuire ogni tanto con qualche “mmmh mmmh”.
Se riesci a riprendere Disclaimer dimmi come hai fatto perché sono arenato alla quinta puntata ormai senza speranza.
Il finale di M merita.
Devo dire che la classifica comparata 2024-2025 mi ha lasciato di stucco!!