Buon 14 marzo,
ieri sono andata a Lugano per me e non per lavoro e quindi per me questa settimana lunedì cade di martedì.
Gli anacronismi che ci definiscono
Nella mia vita, ogni tanto, succedono cose che definire strane è un eufemismo. Non faccio nessuna fatica ad accettarle perché sono convinta che nella realtà fisica ci siano fenomeni che ancora neanche sfioriamo con il pensiero, al punto che per spiegarli evochiamo divinità, mitologie e leggende. Io non credo che siano fenomeni paranormali, credo che siano fenomeni normalissimi che non capiamo, un po’ come i nostri antenati non capivano l’eclissi di sole, l’aurora boreale o i terremoti.
La scorsa settimana, per esempio, mentre lavoravo alla consegna di un compito di scrittura per il corso di “storie di famiglia”, mia sorella ha ritrovato e mi ha spedito una secchissima autobiografia di mio padre, che ha fatto capolino in una cartella in cui lui raccoglieva testi che non avremo mai il coraggio di leggere.
E quindi, probabilmente, dovrò fare quello che più volte mi ha chiesto in vita: raccontare la storia della nostra famiglia, un horror, come dico scherzando ma non troppo. E per scriverla, sempre in quei momenti in cui davvero i confini tra le realtà si assottigliano, ieri sulla mia scrivania è spuntata una Montblanc, la mia Montblanc, che non vedevo da anni.
Credevo di averla persa, di averla eliminata in un’orgia di buttarella, di averla messa nella scatola dei ricordi nel ripostiglio in fondo a destra. E invece eccola qui, ancora bella, un po’ più plasticosa di quanto ricordassi, in quegli anni ’80 in cui faceva il paio con lo zainetto di Prada per fare di te una persona completa.
Io ho un gran bisogno di oggetti e abitudini del secolo scorso. Tanto mi piace cambiare, tanto mi piace farlo tornando sia indietro sia avanti, una versione consumistica del block universe, la teoria del tempo in cui tutto avviene in contemporanea.
Nel mio universo, per esempio, al telefono si parla seduti e in posto tranquillo, dove nessuno ti ascolta. O si cucina o si va al ristorante, il delivery non esiste. E i film si guardano al cinema, non dentro il televisore, per quanto grande sia.
C’è un posto più bello del cinema?
Nelle ultime settimane ho visto quattro film al cinema e ogni volta, quando le luci si abbassano, io mi commuovo. All’Odeon la commozione diventa subito nervoso, perché prima del film ci sono 40 minuti di pubblicità. All’Anteo, dove ho visto gli altri tre film, le luci si abbassano e l’uccello-origami si compone e vola e io piango. Di felicità.
Ho visto Avatar 2 - la via dell’acqua e ho pianto mezzo film, per l’altra metà ho gongolato immaginandomi il priscio di Cameron nel rifare Titanic su Pandora. Cameron che, per inciso, ha salvato il cinema, di nuovo, vendendo biglietti per miliardi di dollari.
Ho visto Everything Everywhere All at once (che è una rappresentazione del block universe) ridendo forte e piangendo tanto e sciogliendomi quando, in ascensore, il miracolo del cinema si compie e resti sinceramente e acutamente sorpresa. E quando un personaggio (Oscar per miglior attore non protagonista) usa le parole che avresti sempre voluto dire: “I know you see yourself as a fighter. Well, I see myself as one too. This is how I fight.” capisci che tutto ha molto più senso di quanto possa sembrare in certi momenti (anche perché sei cresciuta con lui).
Ho visto The banshee of Inisherin, apprezzando più il racconto letterale (un’amicizia che finisce senza motivo) di quello metaforico (la guerra civile irlandese). Nella mia vita sono stata ghostata più da amiche che da uomini. Ehi, sono qui. Non ti vengo a cercare perché ho paura.
Ho visto Decision to leave, in coreano con i sottotitoli in italiano, e ho ancora il cuore pesante per tutto quell’amore invivibile. Per le tartarughe riacciuffate. Perché vorrei che qualcuno mi facesse addormentare parlandomi di meduse, perché anche io vorrei scavare un buco nella sabbia ma per nuotarci dentro e diventare un pesce.
E a proposito di pesci, ho finito Blackwater. Per fortuna l’ho letto quasi tutto in inglese, così posso rileggerlo e riascoltarlo in audiolibro. Non chiamatelo horror. Non chiamatelo paranormale. Ci sono infinite normalità, e quindi nessuna.
Buon refill.
Spigolature
Ho finito Blackwater, ma sono rimasta in Alabama, a Perdido. Sono al 33% della Recherche e a un passo dal rileggere Racine, che al liceo detestavo (ma non quanto Rabelais). Sto leggendo Il paziente, prequel della trilogia delle Regine, miglior scacciapensieri non c’è. E Digital Plenitude di Jay Bolter, una delle persone che mi ha più formato, e mi sa che si capisce fin dal titolo.
Non sono andata da nessuna parte, ma Milano è bellissima, in piena fioritura, checché se ne dica.
A Lugano ho mangiato i bretzel della Coop di Via Nassa seduta su una panchina del Parco Ciani. Non vale come viaggio perché Lugano è casa.
Agenda
15 aprile: Imparare a gestire il tempo, un corso online di 5 ore con la Scuola Holden (120 euro iva inclusa)
Shopping
Che cosa ho comprato (idea rubata a Domitilla che l'ha rubata al Post)
una maglietta di cotone Pima (orfana di Banana Republic)
Buon tutto. Grazie di esserci. Mafe
"Nel mio universo, per esempio, al telefono si parla seduti e in posto tranquillo, dove nessuno ti ascolta. O si cucina o si va al ristorante, il delivery non esiste. E i film si guardano al cinema, non dentro il televisore, per quanto grande sia." -- Non sei sola in quell'universo. È un universo perfetto come il blue royale della Montblanc, come sono sicuro sia quella secchissima autobiografia che è saltata fuori, come Milano in piena fioritura (checché se ne dica). Molto bello questo pezzo. Grazie.